Babel, Recensione film




Marocco, un uomo scambia una capra e 4 soldi per un fucile. “Ha una portata di tre chilometri” dice Hassan, il venditore, e allora i figli dell’acquirente mentre il giorno seguente guidano il gregge nelle lande desertiche intorno alla loro casa, decidono di testare la gettata effettiva dell’arma.

USA, è il giorno più importante per una donna messicana che accudisce due bambini americani i cui genitori non ci sono. Non può lasciarli ma non può nemmeno mancare al matrimonio del figlio, allora li porta con sé di là della frontiera.



Giappone, una pallavolista viene espulsa dall’arbitro durante un match, capiamo che si tratta di una ragazza irrequieta. Soffre della perdita della madre ed ha un difetto comunicativo, è sordomuta. Si convince che solo la ricerca del contatto corporale con gli altri possa aiutarla.

Marocco, una coppia si trova catapultata in un viaggio sgradito per cercare di ritrovare una complicità svanita. Mentre attraversano il deserto in pullman, lei viene colpita da un proiettile alla spalle





4 storie lontane, drammatiche, feroci nella loro estrema attinenza alla realtà il cui intreccio parte da questi episodi slegati l’uno dall’altro. Sembra che l’ultimo capitolo della saga della morte del regista messicano Alejandro Gonzales Iñarritu sia soltanto una serie di costruzioni autonome, ma nel sontuoso montaggio parallelo scopriamo il nesso logico che unisce due bambini africani che hanno sparato ad una donna che odia il marito, una ragazza giapponese figlia del proprietario del fucile che non indossa intimo per provocare l’interesse dei maschi, una signora che perde la custodia dei bambini della coppia in viaggio in Africa perché il violento nipote Santiago al ritorno dal matrimonio li abbandona nel mezzo del deserto alla frontiera statunitense.

I dettagli che legano la narrazione sono in realtà raccordi artificiosi che stordiscono lo spettatore il quale percepisce quella sensazione di inadeguatezza e solitudine che i personaggi vivono a causa di una forte incomunicabilità. BABEL è il miscuglio di etnie, lingue, paesi, esigenze personali, drammi individuali che la forza espressiva della macchina a mano sprigiona in tutto il suo realismo, accompagnato da una grande fotografia e una colonna sonora disturbante e spirituale.



BABEL studia le ragioni più profonde dell’agire umano, dall’egoismo alla perversione sessuale, dal senso di colpa allo spirito di sopravvivenza, sottolineando quanto la fatalità della nostra esistenza sia frutto in realtà dell’incapacità di ascolto, di compassione, di pietà, di contatto con gli altri, con un briciolo di speranza ancora intatta, nonostante tutto.



Niccolò Di Ruscio

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