Spotlight, recensione film


"A volte è facile dimenticare che per la maggior parte del tempo brancoliamo nel buio, poi all'improvviso si accende una luce ed ecco una qualche quota di colpa da attribuire a qualcuno. Non posso parlare di fatti avvenuti prima che io arrivassi, ma tutti voi oggi avete fatto una grande inchiesta, un'inchiesta che credo avrà un immediato e considerevole impatto sui nostri lettori. Per me, questo è il senso vero del nostro lavoro"

Il racconto di uno scandalo. Il racconto della sua investigazione da parte del team di giornalisti che in seguito vinse il pulizer.

Spotlight è un film del 2016, presentato a Venezia e vincitore dell'oscar al miglior film e alla miglior sceneggiatura originale.

Un film quadrato, potente che fa della sua sceneggiatura il punto forte; non calca le emozioni, non porta lo spettatore all'immedesimazione, racconta semplicemente una storia difficile da raccontare con taglio giornalistico e crudezza verbale.


Il team e impersonato da quattro attori in stato di grazia come Micheal Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams e Bian d'Arcy James. Splendide anche le prove dei comprimari Liev Schreiber e Stanley Tucci. Ruffalo però spicca su tutti, regalando il suo talento al film con un' interpretazione attenta e dosata di un uomo troppo attaccato al suo lavoro.

Interessante anche la raffigurazione di una Boston "provinciale" dove tutti si conoscono e dove è difficile integrarsi pur essendo Boston in realtà una delle città con il più alto numero di immigrati italiani e irlandesi.


Espressiva la regia di McCarthy, che mette in gioco immagini possenti seppur statiche, ma ricche di significato.

Un film narrativamente perfetto e mai macchiettistico.
Una denuncia forte al alla chiesa cattolica e alla sua complessità arcaica.
Un elogio al vero giornalismo d'inchiesta, fatto di sacrificio e dedizione, di scoperte e delusioni in nome della verità e della libertà d'espressione.






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